Era alla millesima partita in carriera e nelle sfide secche di un Mondiale non aveva mai segnato. Leo Messi. Una palla rubacchiata a Otamendi e, dal cuore dell’area, un sinistro affilato come il bisturi che il chirurgo cala nella pancia del destino. Le lavagne e i Pep, per carità . L’assoluto, però, ha precedenza: sempre. Non basta? E chi se ne frega: non ti curar di lor, ma guarda e passa.
Argentina-Australia 2-1 è soprattutto lì, non solo lì. Perché al 97’ è stato Emiliano Martinez, il portiere, a inchiodare il tabellino buttandosi su Kuol. In precedenza, un autogol randagio di Enzo Fernandez su randellata di Goodwin aveva riaperto una gara che sembrava sepolta; e Behich, addirittura, aveva sfiorato un gol alla Messi, proprio così. Ha salvato Martinez. L’altro. Lisandro. Lo stopper. Quello che aveva sostituito il Papu.
I canguri erano sotto per il genio di Leo e l’arroganza di un portiere, Ryan, che si era messo a dribblare sull’uscio di casa. Disturbato da de Paul, uccellato da Alvarez. Complimenti. Non un’Argentina da applausi, a essere schietti. Grigia e sterile per un tempo, baciata dagli dei della costruzione dal basso, sempre umile – a volte fin troppo – sprecona in Lau-Toro, quando la Pulce gli ha spalancato la porta in almeno un paio di occasioni.
Un Papu in grisaglia aveva rimpiazzato Di Maria. Migliore in campo, Leo a parte, de Paul: sempre nel vivo, sempre a strappar palloni. Più i due Martinez. Scritto che la giostra delle staffette ha premiato Scaloni meno di Arnold, il risultato ribadisce che, se non chiudi le gare, sono cavoli tuoi; e che più in generale, sul piano tecnico, la base si è alzata e il tetto abbassato. Riguarda l’umanità , non Messi. Primo quarto, dunque, Olanda-Argentina. Nel 2014, ai rigori, vinse la selecciòn.